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mercoledì 25 maggio 2016

La festa de lo santissimo patrono

In questa novella si narra di fatti di sortilegi che fe di una statua due, che disparir fe un dì, aspre contese, grosse armi e savii consili. In malagrazia, come li protagonisti di questa istoria, anco io che ve la conto caddi in confusione, indi per cui non trova spazio in quell'opra che si conosce collo nome mio, ma non avendo core di strapparla, poichè la faccenda non cadda nell'oblio dei secoli, ma neanche si puote aggiungere alla suddetta opra per non minarne la costruzione e la numerazione con fatica ottenute, la lascio così, alla stregua di un filio abbandonato e che Nostro Signore n'abbia riguardo. 

V'erano a quel tempo per quei poggi di campagna, due borghi che si spartivano un fiume, una macchia e un santo patrono. Ogn'anno, al dì della festa del santo patrono, i due paesi si superavano nelle celebrazioni rituali per aggraziarsi la bontade patronale, con riti e banchetti d'ogni sorta di dovizia nella credenza che quale dei due avessero ottenuto la maggior benevolenza, tanto maggiore sarebbe stato il proprio raccolto di messi nella campagna susseguente. I due borghi, adusi alla comune vicinanza e straccati da tanti anni di contendere, s'erano contrapposti in ogni aspetto che coinvolge l'umani interessi, ne i sentimenti politici e ne l'ambizioni personali: così se nel paese più a monte era in gran stima perseguir l'umane arti, il diritto e le scienze, in quello più a valle per la maggiore andavano in conto le ricchezze terrene, e se in uno lo Imperatore incontrava più grandi simpatie, nell'altro era lo successore di Pietro ad esser di molto lo più gradito. 

Avvenne che quell'anno, forse per castigo, forse per una qualche inadempienza nel giorno consacrato, vi fosse una grave siccità tale che quell'estate grandemente afflitti risultarono quei frutti che arricchiscono le mense autunnali, le uve, i malli e tutto quello che da una selva si puote ricavare. Per contrappunto, proprio la gran calura e l'asciuttezza aggradirono le messi estive che nella piana si coltivano, abbondarono i tritici e i frumenti che con gran rigoglio maturarono nei campi e riempirono tutti i granai con gran giovamento delle economie della bassa. Tra tutti i maggiorenti del borgo sul colle serpeggiò la più grande premura: S'era calato un simil malocchio dopo una offerta con tutti i crismi della prodigalità, quale sciagura sarebbe capitata l'anno venturo, ora che, tolto il necessario per imbandire i deschi quotidiani, non si poteva stipare neanche razionando tutti i pasti dell'anno all'uso di una quaresima? Si tanto crucci li turbava molto grandemente, a mano a mano che lo verno avanzava e le vettovaglie scarnivano, i maggiorenti si lambiccavano li cervelli per porre soluzione a tal cruccio. Con lo verno venne di nuovo la primavera e con la primavera le messi nei campi che furon mai come allora ricche nella valle. 

S'avvicinava il solstizio e con esso la festa de lo santo patrono che si prospettava per st'anno magra e grama. Si provvide quindi a formar comizio onde addivenir a soluzione. Vuolsi per l'impegni opprimenti, vuolsi per l'umana indolenza quando s'attende alle cose sacre, si ridussero al penultimo giorno per indire assemblea, che si tenne nel cortile di quello che fra tutti avanzava l'altri in ricchezza stima e autorevolezza. E subito fu un gran lamento di pianti , non solo largrime muliebri di probe dame, ma anco di omini incocciati da ogni traversia e patimento: quale sarà il nostro fato, dicevano, se al malocchio dell'anno passato si somma quello dell'anno venturo? Come scontare il fio se quello che cagionava era la cagione stessa del castigo?

 S'andò avanti lungamente pel giorno tutto, e quantunque la questione rimanesse senza speme, niuno volle tornar alla propria dimora senza quella soluzione che potesse offrir uno spiraglio di luce per un sereno raccolto, o comunque aver un'anno di tregua per poter poi in seguito riconquistar la benevolenza del santo. Prese per ultimo parola proprio ser Antonio, quello che per stima saviezza e autorevolezza sopravanzava tutti e proprio quello che più devoto aveva convocato tutti nella sua dimora a cercar soluzione. Lungamente aveva pazientato fintanto che, tutti quanti, accortisi che non essendoci alcuna soluzione canonica, sarebbero stati maggiormente convincibili ad addivenir estreme misure: "Avete visto che io tra voi ho aspettato ad alzarmi, questo perchè speravo che tra voi ci fosse qualcuno che offrisse una soluzione consona al comune periglio, ma purtroppo l'attesa s'è rivelata vana e vano sarebbe porre ulterior tempo a quello che ho da offrirvi. E' stato già recitato l'atto di dolore e la compieta è più lontana delle laudi, domani è l'ultimo giorno che abbiamo prima del dì tanto aspettato" Guardò tutti ne l'occhi, con sia una prece che un moto per convincerli con la propria autorità. "Non è da oggi che mi pongo il cruccio, ed è solamente dopo molte notti insonni di preghiera e prostrazione che m'è stata ispirata la risposta" con un amplio gesto del braccio indicò a tutti i convenuti il paesaggio loro intorno "eppure la salvezza era qui, tutta intorno a noi intorno" e tutti si guardarono dopo aver cercato con lo sguardo la salvezza accennata ser Antonio. La sua faccia s'atteggiò a sorriso che poi modestamente represse. "Si, come vi dissi, la soluzione è tutta a noi intorno, quei villani bifolchi hanno di che festeggiare per noi e per loro, e se non ne approfittiamo e offendiamo il santo anche quest'anno, il santissimo patrono se ne avrebbe tanto a male che nemmanco lo Padreterno potrebbe farci niente. Se muovendoci nottetempo con silenzio e circospezione, mentre le loro menti sopite dal pensiero della festa e dalla stracchezza del lavoro riposano, potemmo procurarci quello che si necessita per onorare degnamente il santo patrono". Un filo d'orrore seguì alla proposta ma dopo un attimo di cogitazione venne riconosciuta come unica speme e accettata nel sommo tripudio. 

Riguadagnati i giacigli che il sole quasi s'affacciava a levante, sognarono tutti grandiose feste, grandiosi raccolti e grandiose feste ancora. Quando si levarono però che giorno s'era fatto inoltrato, i sogni mattutini divenirono incubi reali, allorchè s'accorsero che le loro proprietà furono nottetempo violate e le loro dispense segrete in cui erano stipate le sostanze che ogn'uno serbava a se caro saccheggiate. Lo stupore divenne ira quando riavutisi dal primo sbalordimento, udirono dalla valle canti e gioia e festa. Quei villani approfittando della loro tirataccia s'erano intrufolati come lupi in ovili facendo manbassa di ogni bene che potevano nelle mani mantenere, appropriandosene per usarli come se fossero loro.

 Riavutisi dallo smarrimento i collinari organizzati in serrata falange scesero il colle caricando con violenza con forconi e malbestemmie, picchiando e lordando con sterco e sputi tutto quello che si potesse lordare, fintanto che s'arrestarono solamente dinanzi alla statua del Santo Patrono, con la mitra, il pastorale, tutti i paramenti indossati e l'indice alzato ad ammonizione. Era quindi il turno dei villani di riaversi dallo smarrimento, organizzarsi il contrapposta falange e caricar i collinari con zappe e forconi, fomentando si grande zuffa che nel tira e molla la statua del Santo si franse in due pezzi che a fine giornata fu preda una dei collinari e una dei villani, rimanendo a loro quella col pastorale e ai collinari quella con l'indice ammonitore.

 Ma quello non fu che l principio de li screzi, chè nottetempo si susseguivano spedizioni volte a sottrarre la metà altrui della statua del Santo Patrono per porla sotto l'egida della propria fazione. Ma l'intento era così sensato che ogni qualvolta si presentava il momento propizio a inviar una spedizione, anche l'altra fazione caso volle inviasse una spedizione e se non s'incrociavano, si rubavano vicendevolmente la parte della statua in possesso dell'altri in modo che alla fine dei conti nessuno ne risultava arricchito e nessuno privato, mentre se s'incrociavano ne nascevano zuffe, sovente sassaiole e talvolta coltellate che nella confusione della notte non risparmiavano amici, nemici o finti amici, poichè spesso si approfittava del buio per regolar conti privati. Tali zuffe si protraevano incessantemente e i maggiorenti s'eran tanto offesi l'un coll'altro che ogne trattativa non trovava mercato, la rifusione della statua veniva procrastinata senza soluzione fintanto che quelli che dagli spiriti più concilianti non mandarono ambascerie in giro per cercar soluzione presso autorità superiori, rimettendo il giudizio a loro. 

Si convenne nelle alte sfere, tra quelli che reclamavano i diritti di potestate sulle spolie latine, che un piccolo problema come quello, se trascurato, poteva incancrenirsi e contagiare l'armonia e l'equilibrio che a fatica s'era venuto a creare dopo lustri d'attriti, quindi lesto venne previsto un concilio che sanasse ogni contesa e appianasse ogni solco. Come si conveniva a quei tempi, l'ambascerie vennero precedute dai prodromi delle loro scorte che s'insediarono ogn'una nel borgo di cui si facevan paladini, l'imperiali nel borgo in collina, i papalini in quello a valle, requisendo gli alloggi migliori e i vettovagliamenti, seguiti poscia dalle scorte vere e proprie che requisirono per loro quanto non fosse stato requisito in precedenza per l'ambasciatori.

 Le due comunità accolsero con gaudio i loro protettori, misurandone le forze e facendosi forza e coraggio con le spade e gli scudi altrui, discutendo animosamente vantando quanto sembrassero imponenti i propri e inietti l'altrui. E venne il giorno dei lamenti, in cui dinanzi ai delegati le due fazioni avanzarono le proprie ragioni e esposero i propri alibi. 

L'omini della collina accusarono i villani del furto immotivato, lagnandosi del torto patito e delle offese ricevute, indignandosi sommamente per l'empio uso fatto delle loro scarse sostanza destinate alle liturgie annuali, sperperate in un giorno feriale qualunque come in un qualunque baccanale, mentre più probamente erano state destinate alle sacre liturgie del Santo Patrono. I villani dal canto loro si provarono a discolpare, contando che, come i collinari avevano avuto pessimi raccolti di frutti autunnali, loro, svantaggiati dalla natura delle terre, erano stati privati del tutto di quelli, avendo solamente granaglie buone solo alla panificazione e null'altro, ma buone a nulla per una celebrazione patronale poichè agli occhi del Santo in minor pregio sarebbero state le offerte che se fossero state vuoi di vino, vuoi di noci, vuoi di castagne anco se in poco numero. Quindi, costretti dal bisogno, s'erano recati dai loro vicini nel di festivo, per proporre loro di unire le feste in una sola affinchè il Santo, gabbato da tanta buona voglia, si sarebbe soddisfatto lo stesso in quell'anno di magra. Ma trovandoli tutti addormentati in pieno giorno come vittima di un sortilegio, avevano preso quello che cercavano di loro propria iniziativa per festeggiare il Santo e liberarli dal maleficio.

 Alle accuse di aver celebrato in un giorno feriale qualsiasi, risposero che erano loro in errore e che probabilmente il sortilegio li aveva confusi a tal punto da far perdere ai collinari il conto dei giorni e che anzi, era solo grazie alle loro preghiere e offerte al Santo che s'erano potuti liberare dal malefizio, ma invece di mostrar gratitudine erano li ad accusarli d'empietà. Questo aveva sancito il tramonto su un tranquillo vicinato e mai si sarebbero ricondotti a miti consigli. Le liti andarono innanzi vari mesi e non si potevano riportare alla ragione, ogn'uno sicuro d'esser nel giusto. 

Ma come è invero giusto, le inquieste non vennero arrestate fintanto che non si fecero alcune scoperte: si scoperse infine che le intenzioni dei collinari non erano così linde come loro provavano ad avanzare, ma che in realtà la loro volontà era stata solo anticipata dall'istintiva azione dei villani che mentre loro s'erano attardati in conciliaboli, s'erano invece prontamente mossi, che sempre i collinari avevano occultato parte dei frutti per tenerli per se piangendo una miseria in realtà meno grama di quanto non volessero far apparire. Si rivelò anco che i villani agirono un giorno prima non per un caso, ma poichè a causa della loro ignoranza, avevano anticipato la loro azione dimentichi di ogni studio o legge, del moto de l'astri nel firmamento e di come era convenzione comune regolarli non avendo considerato l'avvento in quell'anno dell'aggiunta di un giorno nel mese di febbraio bisestile. 

I legati sciolsero il concilio liberando le genti, dispensando le giuste pene e punizioni, la statua del Santo Patrono venne risaldata e affidata a un borgo, all'altro per consolarli dell'abbandono del Santo venne assegnata la una selva che confinavano, con l'impegno di trovarsi un nuovo Santo Patrono essendo stati ripudiati dal precedente, scegliendosene uno i cui festeggiamenti cadevano nei giorni prossimi. Il fiume che dividevano venne diviso, una sponda toccò ad uno, una sponda all'altro borgo, nel mezzo sul ponte che l'univa venne messo un presidio con un pedaggio in entrata e in uscita per ripagar le spedizioni venute in loro soccorso, che anche nei tempi attuali ho notizia ancora in essere. Questo quello che rimase loro, più poveri di quanto non fossero e sottovoce maledicendo l'anno bisesto che fu cagione di tutto, originando la credenza che l'anno bisesto portasse sciagure.